Dopo l’adattamento del 2022 di Niente di nuovo sul fronte occidentale, premio Oscar come miglior film straniero, il regista, sceneggiatore e produttore austriaco Edward Berger dirige un’altra opera che mette al centro un conflitto, una guerra in seno al vaticano per l’elezione di un nuovo pontefice. Il cardinale e decano Thomas Lawrence, interpretato da Ralph Fiennes, è colui che ha l’incarico di dirigere il conclave: i quattro candidati favoriti sono Aldo Bellini (Stanley Tucci), l’erede più naturale del defunto Papa in quanto maggiormente in linea con le sue idee liberali, il conservatore Joseph Tremblay (John Lithgow), Joshua Adeyemi (Lucian Msamati), un conservatore ancor più tradizionalista e, infine, Goffredo Tedesco (Sergio Castellitto), di idee reazionarie ai limiti del fanatismo. A costoro si aggiungerà, a sorpresa, il giovane missionario Vincent Benitez, arcivescovo di Kabul, destinato a influenzare i delicati equilibri del consesso e sulle certezze stesse del protagonista.
Berger dirige un thriller solido, convincente e misurato, in cui, un po’ come avviene nello straordinario Giurato numero due di Eastwood, il microcosmo costituito da un gruppo di persone riunite in uno spazio asfittico diviene specchio della natura umana, della sua essenza conflittuale, fallace e assediata dal dubbio e dall’errore. Nessuno dei personaggi che compone il consesso di alti prelati è esente dalla colpa, nemmeno il cardinale Lawrence, che appare così integerrimo e desideroso di compiere la volontà del Dio in cui (forse) crede. La traiettoria del personaggio di Fiennes, attraversato da una profonda crisi esistenziale e spirituale che lo porta a dubitare della propria vocazione e, allo stesso tempo, insidiato da un malcelato desiderio di accedere lui stesso alla carica pontificia, è uno dei punti di forza del film, anche in virtù della straordinaria prova dell’attore inglese, misurato e dolente. Ed è proprio la misura un altro ingrediente fondamentale per la riuscita di Conclave: la regia di Berger è asciutta ed elegante, attenta ai dettagli ritualistici del conclave e del suo cerimoniale, ma privandolo della dimensione estetizzante dello young pope sorrentiniano. Allo stesso modo, la sceneggiatura non cede a una facile sentenziosità retorica, i dialoghi sono convincenti e i monologhi sono pochi ed efficaci.
Nonostante Berger non risparmi frecciatine polemiche all’istituzione ecclesiastica, mettendone in luce le falle e le profonde contraddizioni che la attraversano, il messaggio finale è di speranza, e si traduce in uno sguardo benevolente sulla natura fallibile dell’essere umano, auspicando una “trasformazione” materiale e simbolica capace di abbattere fanatismi e, soprattutto, di accettare il dubbio, la messa in discussione del sé come parte integrante della crescita personale, sociale e politica.
Ma, al di là dei messaggi simbolici che veicola, Conclave, tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris (2016), è, prima di tutto, un film che intrattiene, una vera e propria partita a scacchi giocata nell’oscurità, e che, nonostante l’unità di luogo e l’impianto essenzialmente teatrale, riesce a mantenere sempre alta l’attenzione del pubblico, grazie allo spessore psicologico e all’ambiguità morale di tutti i personaggi e a una successione di intrighi, misteri e rivelazioni ben congegnata.
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