Here (Zemeckis, 2024)

Pubblicato il 27 gennaio 2025 alle ore 18:37

Here, l’ultimo lavoro di Robert Zemeckis, è un’opera ambiziosa e profondamente zemeckesiana, un film che rappresenta il culmine della carriera di un regista che ha sempre cercato di spingere il mezzo cinematografico oltre i suoi limiti. Tratto dall’omonima graphic novel, Here è un esperimento tecnico ed emotivo senza precedenti: un’inquadratura fissa che attraversa milioni di anni, trasformando uno spazio fisico in un archivio di esperienze umane universali.

 

Robert Zemeckis: Un innovatore al servizio del cinema

Robert Zemeckis non è mai stato un semplice regista: fin dai suoi esordi ha dimostrato un’inclinazione unica verso la sperimentazione, spingendo il mezzo cinematografico oltre i limiti convenzionali e contribuendo in modo significativo all’evoluzione dell’arte del raccontare per immagini. Nato come autore nell’orbita di Steven Spielberg, che lo notò nel 1976, Zemeckis ha sempre perseguito una visione personale, pur restando ben radicato nel cinema mainstream.

Il suo debutto, 1964. Allarme a N.Y. Arrivano i Beatles! (1978), prodotto proprio da Spielberg, fu un sonoro flop al botteghino. Tuttavia, già in quella commedia demenziale si intravedevano i segni distintivi del suo approccio registico: il desiderio di sperimentare con il montaggio, i movimenti di macchina e una narrazione che oscillava tra il surreale e il grottesco. Zemeckis tornò al cinema con La fantastica sfida (1980), un’altra commedia anarchica e troppo avanti per il pubblico dell’epoca, dove ancora una volta emergeva la sua attenzione ai dettagli tecnici e stilistici. Solo con All’inseguimento della pietra verde (1984), una commedia d’avventura romantica e avvincente, Zemeckis riuscì a ottenere il successo commerciale che gli spalancò le porte del grande cinema.

Ma fu con Ritorno al futuro (1985) che Zemeckis entrò nella storia, dimostrando una padronanza unica nella costruzione di una narrazione complessa, senza mai perdere l’equilibrio tra intrattenimento e innovazione. Questo spirito pionieristico culminò in Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988), un film che, combinando live action e animazione, non solo sfidò le capacità tecniche del cinema dell’epoca, ma creò un universo visivo e narrativo irripetibile.

Da quel momento in poi, Zemeckis abbracciò sempre più apertamente la sfida dell’innovazione tecnica. Pensiamo alla maestosità di Forrest Gump (1994), dove le immagini di repertorio vennero manipolate per inserire il protagonista in eventi storici reali; o a Contact (1997), che rinnovò il genere fantascientifico con una messa in scena sofisticata e una riflessione profonda sull’umanità. Persino nei suoi esperimenti meno riusciti, come Polar Express (2004), Zemeckis osò utilizzare tecniche di animazione in motion capture che, pur imperfette, aprirono nuove strade per il cinema digitale.

Il suo percorso artistico è sempre stato mosso da una duplice ambizione: spingere il mezzo cinematografico in territori inesplorati e raccontare storie che parlassero dell’essenza umana. Come James Cameron, ma con una scala spesso più intima e meno spettacolare, Zemeckis ha cercato di coniugare innovazione e profondità narrativa. Questa tensione verso il nuovo, unita a una cura maniacale per il dettaglio tecnico, lo ha reso una figura imprescindibile nella storia del cinema contemporaneo.

Con Here (2024), Zemeckis non si limita a continuare questa tradizione, ma la sublima, creando un’opera che unisce sperimentazione tecnica e riflessione filosofica. È il culmine di una carriera che ha sempre cercato di dare al cinema qualcosa di unico, confermando il regista come un vero e proprio innovatore dell’arte cinematografica.

 

Un punto fisso, milioni di storie

La particolarità di Here è nella sua impostazione tecnica: l’intero film si svolge attraverso una singola inquadratura fissa che abbraccia il tempo, partendo dall’epoca dei dinosauri fino al presente. Attorno a quel punto fisico, che diventa un salotto nei giorni nostri, si alternano vite, generazioni, piccoli e grandi eventi quotidiani. Zemeckis ci invita a rimanere “qui” (here), a osservare con attenzione, in un mondo frenetico che ci spinge continuamente altrove.

Questa inquadratura diventa un vero e proprio testimone del cambiamento. Nulla rimane al suo posto: dove c’erano solo valli sterminate, oggi ci sono case; dove un tempo vivevano i nativi americani, ora vediamo Richard Young (Tom Hanks), un uomo qualunque, crescere, vivere e lasciare tracce della propria esistenza.

 

La sperimentazione tecnica e narrativa

La sperimentazione di Zemeckis in Here non si limita alla camera fissa, che trasforma l’esperienza cinematografica in qualcosa di simile a una straordinaria opera teatrale. Il film segna infatti una rivoluzione nell’uso della tecnologia di ringiovanimento e invecchiamento degli attori. Dopo un accurato studio computazionale della mimica facciale dei protagonisti, il regista ha adottato un approccio radicalmente innovativo: per la prima volta, i cambiamenti fisici degli attori sono stati gestiti in tempo reale direttamente sul set, senza la necessità di massicci interventi di post-produzione.

Questa tecnologia rappresenta un’evoluzione rispetto agli esperimenti precedenti, tra cui il controverso lavoro di ringiovanimento digitale su Robert De Niro in The Irishman (2019). Nel film di Martin Scorsese, la tecnologia ha mostrato i suoi limiti, con un risultato visivo spesso poco convincente, nonostante l’enorme lavoro in post-produzione. De Niro, pur ringiovanito nel volto, manteneva movenze rigide e posture incoerenti con la sua presunta età, rendendo l’effetto finale straniante per il pubblico.

Zemeckis ha superato questi limiti integrando la tecnologia direttamente nel processo produttivo: gli attori potevano recitare liberamente, mentre il ringiovanimento o l’invecchiamento venivano applicati in tempo reale. Questo approccio garantisce una maggiore naturalezza delle performance, eliminando la dissonanza tra il corpo e il viso degli interpreti. Tom Hanks, protagonista del film, incarna perfettamente questa rivoluzione, mostrando un’evoluzione fisica e anagrafica che appare completamente naturale, mentre attraversa le varie fasi della vita del suo personaggio, Richard Young.

Un confronto interessante può essere fatto anche con altri casi di ringiovanimento digitale nel cinema e nelle serie TV, dove questa tecnica è stata applicata in modo più limitato, per sequenze specifiche. In Rogue One: A Star Wars Story (2016), il ringiovanimento digitale di Carrie Fisher, pur essendo di breve durata, risultava visivamente efficace e memorabile, ma il tempo sullo schermo era limitato per non evidenziarne i limiti tecnologici. Simili risultati si sono visti con Kurt Russell in Guardiani della Galassia Vol. 2 (2017), Anthony Hopkins nella serie Westworld (HBO) e Johnny Depp in Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar (2017), tutti esempi di utilizzi puntuali e di grande impatto.

Quello che distingue Here è l’ambizione di utilizzare questa tecnologia per un’intera narrazione che si estende su generazioni. Non più un effetto speciale da riservare a poche scene, ma un elemento narrativo portante che si integra perfettamente con la visione estetica e tematica del film. Zemeckis non si limita a usare la tecnologia per stupire: la utilizza per servire la storia, sottolineando il flusso ininterrotto del tempo e il passaggio delle generazioni, rendendo questa innovazione uno dei cardini di un’opera che sa essere al tempo stesso intima e universale.

 

Il peso degli oggetti e il mutamento degli spazi

Uno degli aspetti più affascinanti del film è l’attenzione che Zemeckis dedica agli oggetti. Proprio come nella graphic novel da cui è tratto, il regista centra l’inquadratura su dettagli specifici dell’arredamento – un divano, una videocamera, un tavolo – che fungono da raccordo tra una scena e l’altra. Quegli oggetti diventano testimoni silenziosi del passaggio del tempo, sopravvivendo mentre tutto intorno cambia, scompare o viene sostituito.

Questa scelta narrativa ed estetica dà vita a un’opera che colpirà profondamente chi ha un rapporto sentimentale con la propria casa, per cui i mutamenti – un trasloco, una ristrutturazione, l’acquisto di un mobile – rappresentano spartiacque emotivi nella propria vita.

 

Temi universali e un flusso di emozioni

Here si sofferma su ciò che rende la vita umana unica e universale al tempo stesso: le gioie, i dolori, i sogni infranti, le piccole soddisfazioni quotidiane. Le vite che si avvicendano in quella stessa stanza ci raccontano la nostra stessa condizione, quella di esseri transitori in un mondo che cambia costantemente.

Zemeckis esplora con maestria questo flusso temporale, mostrando come le esperienze personali si intreccino con una storia più grande. Un momento particolarmente toccante vede il piccolo Richard Young suonare la batteria, ripreso dal padre reduce di guerra con una videocamera d’epoca. Quella stessa inquadratura, secoli prima, mostrava i nativi americani intenti nelle loro attività quotidiane.

 

La regia di un innovatore

Con Here, Zemeckis riafferma la sua posizione di innovatore del cinema, un regista che, come James Cameron, ha sempre cercato di spingere il mezzo oltre i suoi limiti espressivi. La sua carriera è costellata di esperimenti tecnici e narrativi – dalla fusione tra animazione e realtà in Chi ha incastrato Roger Rabbit alla motion capture di Polar Express, fino alla vertiginosa camminata di The Walk.

Anche qui Zemeckis spinge lo spettatore fuori dalla sua comfort zone, chiedendogli di rallentare, di prestare attenzione a ciò che spesso diamo per scontato, e di lasciarsi emozionare da una narrazione che abbraccia l’eternità e, al tempo stesso, l’intimità del quotidiano.

 

Conclusione

Here è un film unico nel suo genere, un’opera che sfida le convenzioni del cinema tradizionale e ci invita a riflettere sul tempo, sullo spazio e sul significato della nostra esistenza. È un’esperienza che richiede pazienza e sensibilità, ma che sa ripagare con un’ondata di emozioni e di consapevolezza.

Uno dei dettagli più toccanti è il modo in cui il protagonista Richard Young (Tom Hanks), testimone e simbolo del flusso inarrestabile della vita, si ritrova spesso a dire a sua moglie una frase semplice ma universale: “Il tempo vola.” Questa ripetizione, quasi un mantra, racchiude il cuore del film, ricordandoci quanto tutto sia fugace, dai momenti quotidiani ai grandi eventi che segnano la nostra esistenza.

Grazie all’uso innovativo dell’intelligenza artificiale, a una narrazione audace e a una profondità tematica rara, Zemeckis ha creato un’opera che celebra non solo il potere del cinema, ma anche l’universalità dell’esperienza umana. Per chi è disposto a fermarsi e osservare, Here rappresenta un invito a essere presente, qui e ora, per cogliere la bellezza effimera del tempo che scorre.

 

 

 

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