Companion (Drew Hancock, 2025)

Pubblicato il 3 febbraio 2025 alle ore 17:37

In un futuro non troppo lontano, dove i robot sono praticamente indistinguibili dagli umani e le auto si guidano autonomamente, Iris (Sophie Thatcher) e Josh (Jack Quaid) sono una coppia felice e appagata. Come scopriamo fin dalle prime immagini, si sono conosciuti al supermercato e, come in una tipica commedia romantica hollywoodiana, si sono innamorati al primo sguardo. I due si stanno dirigendo a casa di amici, una lussuosa residenza in riva al lago che appartiene al ricco e viscido russo Sergey (Rupert Friend). L’uomo mette subito gli occhi sulla bella e remissiva Iris, ma, quando prova ad aggredirla, la situazione precipita e si scoprirà, attraverso una serie di colpi di scena uno più risibile e scontato dell’altro, che niente è come sembra.

La commedia sci-fi dell’esordiente Drew Hancock ha l’ambizione di affrontare temi complessi, quali l’uso distorto dell’intelligenza artificiale, il rapporto tra l’uomo e la tecnologia, che finisce per sostituire i rapporti autentici e, soprattutto (ma che novità!) la mascolinità tossica e la violenza domestica. Il tutto assumendo un tono comico, leggero, a tratti farsesco, rendendo il prodotto intrattenente e fruibile da tutti. Tuttavia, uno dei difetti della pellicola risiede proprio nella eccessiva semplificazione di argomenti difficili e, negli ultimi anni, ampliamente inflazionati. Difatti, la scelta di adottare il registro più leggero della commedia nera sembra costituire un pretesto (ingiustificato) per mantenersi sempre sulla superfice delle cose, per presentarci dei personaggi che sono dei tipi, degli stereotipi piuttosto che dei caratteri. Il maschio bianco eterosessuale controllante e incapace di relazionarsi con le donne, l’omosessuale sensibile e sentimentale, la donna vulnerabile ma che poi trova la forza di ribellarsi, il russo viscido e machista (povero Rupert Friend) ecc. L’uso di personaggi stereotipati potrebbe anche funzionare se la costruzione dell’intreccio fosse maggiormente articolata e in grado di giocare in maniera brillante con gli stereotipi stessi, ma questo, purtroppo, non succede mai, poiché lo spettatore con un minimo di conoscenza cinematografica non solo individuerà quasi tutti i colpi di scena prima che accadano, annullando quindi gran parte del presunto divertimento, ma, e questo è il vero punto debole, a ogni scena avrà una costante impressione di dejà vu. E non parlo di quel citazionismo post-moderno, “tarantiniano” che intrattiene e diverte, ma della fastidiosa sensazione che ogni soluzione narrativa, ogni riflessione morale più o meno evidente siano già state trattate da altri, e molto meglio (Ex machina, Lars e una ragazza tutta sua, The Stepford wives ecc.). The Stepford wives, ad esempio, film del 2004 con una grande Nicole Kidman, affronta praticamente gli stessi temi con lo stesso tono in bilico tra l’umoristico e il grottesco, ma, in quel caso, non solo tutte le gag vanno a segno (il regista era pur sempre il grande Frank Oz), ma anche la riflessione etica e morale sui rapporti tossici e la volontà di controllo sul partner erano affrontante in maniera molto più fresca e intelligente, prima che questi diventassero argomenti “di tendenza”.

Arriviamo quindi al difetto finale che, a mio avviso, il film condivide con tanti altri drammi e commedie che raccontano la mascolinità tossica, l’emancipazione femminile ecc.: il manicheismo. La protagonista di Companion è bella, buona, intelligente, riesce a emanciparsi, a combattere il patriarcato e a vincere. L’uomo è idiota, controllante, odioso, tossico. Punto. Come nel film femminista più stupido e patriarcale di sempre, ovvero Barbie di Greta Gerwig, la leggerezza coincide irrimediabilmente con la superficialità: non esistono sfumature, non si cercano di comprendere i meccanismi che conducono alla violenza, alla sopraffazione, al controllo, si punta semplicemente il dito, come farebbe un bambino. Lui è cattivo, io sono buona.

Companion è, a mio parere un’occasione mancata, una commedia che diverte poco, uno sci-fi di riporto, un horror-splatter poco efficace e, soprattutto, una voluta e irritante satira sui rapporti tossici all’acqua di rose fuori tempo massimo che, esattamente come Barbie, finisce per farci tifare per Ken e per tutti gli altri deficienti patriarchi di questo mondo.

Aggiungi commento

Commenti

Non ci sono ancora commenti.

Crea il tuo sito web con Webador