Olga muore sognando - Xochitl Gonzalez

Pubblicato il 1 febbraio 2025 alle ore 10:16

Quando, leggendo un romanzo, si ha l’impressione di star guardando una serie di Netflix, significa che c’è qualcosa che non va. E devo dire che ultimamente sta succedendo spesso, e succede anche con l’esordio, apparentemente promettente viste le lodi sperticate, di Xochitl Gonzalez. Il romanzo racconta la storia di Olga, wedding planner di successo nata a Brooklyn da una famiglia portoricana, con un rapporto difficile con la madre, che, come spiega in una lettera irritante e didascalica, l’ha abbandonata da piccola e con un fratello al Congresso, un politico integerrimo e idealista che vuole solo il bene della sua gente, ma che sarà travolto da una vera e propria “tempesta”.

Il pregio principale del libro è il tentativo della scrittrice di affrontare temi complessi, quali la costruzione dell’identità personale che si incontra/scontra con le radici etniche, l’imperialismo americano, il rapporto madre/figlia ecc. con un tono che cerca l’equilibrio tra ironia e dramma, e in alcuni capitoli ci riesce abbastanza bene, come il primo, dedicato all’affresco di un matrimonio altoborghese in cui un oggetto materiale, il tovagliolo, diviene emblema della lotta di classe. O in quello dedicato alla veglia funebre di Jan, caposala omosessuale morto di Aids che si scopre aver nascosto la propria identità sessuale alla sua famiglia polacca.

Tuttavia, la sensazione di irritazione nel lettore cresce ben presto, quando si accorge di trovarsi di fronte a una sorta di Bridget Jones portoricana, ma priva della verve brillante e della simpatica volgarità del personaggio nato dalla penna di Helen Fielding, poiché le battute che le vengono messe in bocca, o meglio, le battute che vengono messe in bocca a ogni personaggio del romanzo, non hanno alcuna attinenza con la realtà. Tutti i personaggi si esprimono e agiscono non come se fossero dei newyorkesi di origine latina, con tutte le contraddizioni, le lacerazioni e le ricchezze che ciò determina, ma come se si trovassero a recitare in una serie Netflix, o in una brutta copia di un episodio di Ugly Betty (in cui l’analisi sociologica era molto più puntuale, tra parentesi).

E qui arriviamo al punto forse più dolente del romanzo: nel momento in cui si avverte la patinatura alla Sex and the city che lo riveste, che riveste i caratteri e gli ambienti, ogni tentativo di riflessione sociale, etica o politica perde di senso e di profondità, anche perché questa non nasce dalla potenza e dall’efficacia dei dialoghi, della narrazione o dagli eventi, ma dalle spiegazioni. Perché in molti romanzi contemporanei si sente questa necessità di spiegare tutto, di non lasciare dubbi interpretativi al lettore? Perché, insomma, i romanzi assomigliano sempre di più a una serie Netflix? Fintamente inclusiva, superficiale e con la necessità di spiegare ogni snodo, ogni elemento, ogni potenziale riflessione etica, morale o politica, come se lo spettatore non fosse in grado di ricostruire il significato o i significati in autonomia.

Purtroppo, Olga muore sognando, fallisce su tutti quasi tutti i fronti, a partire dalla sua protagonista, un personaggio femminile francamente sessista, che, avendo dato la precedenza alla carriera, a quasi quarant’anni è alla disperata ricerca dell’amore. Il personaggio forse più interessante è quello della madre di Olga, donna forte ma sostanzialmente priva di istinto materno, che ha scelto di aderire alla lotta politica sacrificando i legami familiari. Tuttavia, l’elemento di appartenenza etnica, la lotta sociale e identitaria risulta sempre banalizzata, semplificata, come se tutto il filone della letteratura chicana e le varie Sandra Cisneros e Gloria Anzaldúa fossero passati invano. The house in Mango Street della Cisneros, ad esempio, pur avendo uno stile di scrittura apparentemente semplice e piano, è in realtà una raccolta di racconti brevi pregna di significati, di simbolismi e, con scarni e puntuali ritratti, come quello della donna alla finestra o degli alberi di Mango Street, che si innalzano come i sogni della protagonista ma che, come lei, restano rinchiusi, confinati nella realtà del barrio, riesce a riassumere l’esilio esterno e, soprattutto, interiore, vissuto dai latinos negli Stati Uniti. Purtroppo, a Olga muore sognando manca quel senso di verità, di testimonianza, il senso di appartenenza e, allo stesso tempo, sradicamento di cui l’autrice di origine messicana avrebbe potuto essere portavoce. E se la riflessione più profonda che la Gonzalez riesce a tirare fuori è che, testuali parole, “il sogno americano è accumulare denaro” per favore, ridatemi Pastorale Americana, grazie.



Aggiungi commento

Commenti

Non ci sono ancora commenti.

Crea il tuo sito web con Webador